Rene e medicina biologica
La medicina biologica osserva il rene come un organo che realizza la soluzione ad una precisa area conflittuale realizzata nei complessi processi dell’evoluzione. La comprensione del senso biologico di un organo favorisce la consapevolezza delle implicazioni conflittuali, che la sua malattia esprime. La consapevolezza del senso biologico insito nel rene e nella sua funzione è dunque premessa per la conflittolisi e contribuisce al decorso di tutte sue possibili malattie connesse. Il rene è un organo escretorio che filtra dal sangue gli scarti metabolici espellendoli tramite l’urina. Il compito principale del rene in fisiologia è quello di assicurare, per mezzo dell’ unità funzionali, i nefroni, una costante depurazione del sangue.
Ad ogni battito cardiaco, circa il 20% del sangue attraversa il rene dunque circa l litro di sangue al minuto. Il rene non ha solo il compito di eliminare i prodotti tossici, ma anche quello di regolare il volume del liquido extracellulare e quindi il contenuto idrico dell’organismo. Inoltre regola l’equilibrio acido-basico tramite riassorbimento ed eliminazione di bicarbonato ed infine, secerne ormoni quali renina ed eritropoietina oltre ad attivare il calcitriolo. Il rene contribuisce dunque al mantenimento della omeostasi dei liquidi. La componente idrica del corpo umano, è tra il 60 e 70% per cento del suo peso. Si tratta circa della stessa proporzione che per il pianeta terra distingue gli oceani dalla terraferma. La parte liquida del corpo umano è dunque la risultante di un’evoluzione biologica che ha internalizzato gli oceani. Se si esamina la composizione elettrolitica dei liquidi corporali, si osserva inoltre una straordinaria similitudine con la composizione del mare. L’uomo può vivere su terraferma perché porta il suo “mare originale” dal quale tutta la vita deriva, dentro il proprio corpo. Il rene provvedendo all’omeostasi di quel “mare” è inizio e termine della vita. Uno dei parametri biologici di invecchiamento è la perdita della componente idrica corporale. Un anziano è fortemente disidratato rispetto ad un giovane. Ma la disidratazione accompagna più o meno tutti i processi di malattia, motivo per il quale in ospedale, uno dei primi interventi medici è proprio una flebo di soluzione fisiologica, in quasi ogni circostanza. L’omeostasi dei liquidi provveduta dal rene, è a tutti gli effetti un parametro della vita stessa. In assenza di alimentazione solida la resistenza di un organismo umano è relativamente lunga. In condizioni fisiche ottimali si tratta di circa tre mesi, ovvero il corrispettivo di una stagione a livello di ritmo circannuale. Questa capacità di sopravvivere senza cibo solido ha permesso ai nostri progenitori di sopportare i rigidi inverni quando sia i raccoglitori che i cacciatori nel clan potevano omettere il loro compito per cause maggiori. Al contrario, in caso di carenza di nutrienti liquidi, l’uomo in condizioni ottimali, difficilmente sopravvive oltre i tre giorni, ovvero il corrispettivo dei tempi di fecondazione. Mantenere “l’acqua dentro” è pertanto un parametro essenziale della sopravvivenza.
La morte cellulare è caratterizzata dal venire meno delle complesse funzioni di membrana e dunque dalla sua disidratazione. Lo stress cellulare al contrario, comporta un aumento della componente idrica del citoplasma. Per sopravvivere è necessario trattenere la cosa maggiormente essenziale alla vita, ovvero l’acqua. Il cadavere è caratterizzato da un forte disidratazione. L’espressione “polvere siamo e polvere torneremo” evidenzia con una specifica immagine le connessioni tra “mare dentro” e sopravvivere. Alcune zone desertiche sono state fertili e rigogliose in altri periodi della storia del nostro pianeta. La perdita della capacità di trattenere acqua ha determinato la desertificazione e la mancata sopravvivenza di innumerevoli forme di vita.
Grazie all’omeostasi dei liquidi operata dal rene, tale organo assume in medicina bioogica un significato analogico a “essenziale per la sopravvivenza”. L’orbita funzionale vescica urinaria è connessa all’ organo rene. Al contrario l’orbita funzionale rene pur portandone emblematicamente il nome non svolge alcuna funzione renale. Il campo emozionale coerente alla sopravvivenza, è la paura. Una evidente connessione tra questo campo e la funzione urinaria è osservabile in quelle circostanze per le quali una forte emozione di paura provoca la perdita involontaria delle urine.
Secondo la medicina biologica l’uomo ammala il suo rene, quando ha risentito uno o più eventi della sua vita come una condizione nella quale si lotta per l’essenziale. Non si tratta della gestione di qualcosa di derogabile, ma si lotta per la vera e cruda sopravvivenza. A differenza del conflitto di polmone che implica morte individuale imminente, i processi renali sono relativi ad un habitat dove l’essenziale è irreperibile. Qualsiasi cosa risentita “essenziale” dall’essere umano, costituisce uno scivolamento di acqua. La tematica di morte del polmone è individuale. La tematica di sopravvivenza del rene è connessa certamente all’individuo, ma coinvolge anche il clan e soprattutto la discendenza. La sopravvivenza per il malato di rene non è pertanto esclusivamente dell’individuo, ma sfuma verso il clan, la specie o la vita stessa. Sopravvivere significa per molte forme di vita una conservazione attenta delle fonti idriche. Il risentito del malato di rene è dunque connesso con qualcosa ritenuto “essenziale”, come l’acqua. Se tale essenza viene a mancare non solo non sopravvive l’individuo , ma anche il suo clan rischia l’estinzione. Il malato risente pertanto il suo conflitto come qualcosa che può ingenerare annientamento. “Spezzare le reni” di un avversario descrive questo processo con linguaggio d’organo preciso. Ancora oggi molti esseri umani lottano per l’ ”essenziale “ a livello animale. L’acqua per la sopravvivenza non è garantita per tutti. In alcune zone del pianeta terra si lotta per l’acqua. Il futuro umano non cesserà di dipendere intimamente da questa variabile.
Per la medicina biologica la gestione cosciente dei conflitti e la pacificazione emozionale sono un percorso di terapia preferibile e soprattutto migliorativo del quadro generale. La malattia secondo la medicina biologica è infatti una lesione di cui la sofferenza non coincide mai, ma solo si esprime a livello di tessuto sulla quale si proietta. Per la medicina biologica la ricerca del senso nelle lesioni applicate non disconosce per nulla i meccanismi somatici per i quali tale malattia si realizza nel corpo del paziente. Al contrario la medicina biologica cerca oltre la “fisicità” della malattia anche la finalità sensata delle lesioni nel contesto di una evoluzione prima personale, poi della stirpe e infine della specie. L’analisi delle sofferenze patite dal malato, dei diversi fattori aggravanti, dei campi emozionali, delle modalizzazioni e dell’insorgenza primaria possono aiutare nell’identificazione del conflitto biologico sottostante per il singolo paziente. Alcune lesioni possono determinare un notevole disagio sia interiore sia nella relazione con gli altri. Una valutazione del risentito personale connesso secondo la medicina biologica, rappresenta una possibilità prima di comprensione e successivamente di coscienza riguardo al senso implicato, premessa ineludibile per una loro modulazione o a seconda dei casi per la loro risoluzione.
Dott. Fabio Elvio Farello, Medicina Biologica a Roma
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