Colon e medicina biologica
La medicina biologica osserva nel colon la soluzione a precise situazioni conflittuali realizzate nei complessi processi dell’evoluzione. La comprensione del senso biologico di un tessuto organo favorisce la consapevolezza delle implicazioni conflittuali che la malattia esprime. La consapevolezza del senso biologico insito nella malattia del colon è premessa per la conflittolisi e contribuisce al decorso della malattia. Il colon paragonato all’ intestino tenue appare più corto ma di diametro ben maggiore. Si tratta della parte terminale del digerente la cui funzione consiste nella formazione delle feci, per garantirne il passaggio nel retto e la successiva espulsione. Nel colon vengono assorbiti sali minerali e acqua. Al fine di garantirne il corretto funzionamento nel colon sono presenti numerosi batteri che formano la flora intestinale.
Si tratta di saprofiti che svolgono funzioni utili per l’uomo, come per esempio la sintesi di vitamine. Gli stessi batteri possono cooperare quando il SNC richiede una risposta biologica infiammatoria sul colon o altri organi e tessuti. Il colon è dunque anche una riserva naturale di batteri, che all’occorrenza cooperano alle infiammazioni di cui l’uomo necessita e dal quale il sistema nervoso centrale attinge se deve produrre infiammazione, quando non trova soluzioni nell’habitat esterno. Il colon rappresenta pertanto una riserva batterica interiore. Il processo digestivo implica inizialmente la captazione di nutrienti dall’ambiente esterno. Successivamente questi nutrienti vengono scomposti in parte assimilabile e parte non assimilabile che si separano metabolicamente e anatomicamente. La parte assimilabile viene processata per ottenere i carburanti necessari per il mantenimento e lo sviluppo della vita. La parte non assimilabile, ovvero la scarto, pone un problema di tossicità che l’evoluzione ha risolto con una procedura di espulsione nel mondo esterno, che chiamiamo defecazione. L’ organismo tramite la defecazione operata dal colon, restituisce una parte del nutriente all’ambiente dal quale era stato precedentemente captato. La defecazione e il colon oltre ad essere un complesso meccanismo di esternalizzazione di tossine è anche comunicazione sociale. La defecazione assolve pertanto anche al compito di comunicare con l’esterno identificando precisi ruoli e comportamenti sociali. Questa comunicazione tramite la defecazione, anticipa e prefigura nel mammifero linguaggi più complessi.
Il campo emozionale connesso al colon, è la tristezza. Con la defecazione l’uomo si separa dal suo “non assimilabile” e ogni processo di separazione è connesso ad un lutto. Il campo emozionale tristezza, nella medicina biologica non deve essere confuso con il termine depressione della cultura moderna. La normotristezza, indica l’emozione che permette all’uomo di occuparsi sufficientemente di sé stesso. In questo stato dell’anima, l’eliminazione di carichi tossici è efficace. La normotristezza provvede alla pulizia interiore sul piano corporale e animico. Defecare a livello emozionale implica, dopo aver valorizzato un’apprendimento, eliminare il disagio necessario a ottenerlo. Quando il campo emozionale normotristezza scompensa, si evidenziano due condizioni: l’eccessiva occupazione di sé o la scarsa occupazione di sé. In queste condizioni emozionali, spesso alternanti, si osserva una perdita della fisiologia nella peristalsi. Il colon irritabile è infatti un disturbo psicosomatico tra i più diffusi. In medicina biologica l’eccesso e difetto della corretta peristalsi nel colon sono il corrispettivo fisico dell’equilibrio emozionale sovrastante.
Trattenere come espellere esageratamente “il non assimilabile” fisico, emozionale e intellettuale, sono in relazione con la perdita di normotristezza. Anche la comunicazione e la socializzazione in queste condizioni talvolta alternanti è ovviamente compromessa. In medicina biologica si associa l’ orbita funzionale colon all’ orbita funzionale polmone. Si osserva che il polmone provvede anche ad espellere anidride carbonica o biossido di carbonio. Si tratta di prodotti non assimilabili degli organismi che ottengono energia dall’ossidazione di nutrienti, in un sistema di reazioni che fa parte del loro metabolismo, in un processo chiamato respirazione cellulare. Negli animali superiori, il biossido di carbonio è presente in soluzione nel sangue, passando dai tessuti più periferici ai polmoni, dove viene espirato. L’associazione tra colon e polmone appare pertanto ragionevole, in quanto entrambi gli organi provvedono ad esternalizzare il non assimilabile.
Il malato di colon risente un evento conflittuale con l’impossibilità o ambiguità nell’esternalizzare il non assimilabile. A livello umano il non assimilabile non è necessariamente solo una parte dei processi digestivi di cibo. Questa è esclusivamente la lettura animale del processo osservato. L’essere umano può immaginare molte altre situazioni come “ nutrimento”. A livello emotivo, una relazione può significare la capacità esaltare le parti piacevoli ed eliminare quelle spiacevoli. Saper eliminare le componenti spiacevoli, gestendole ed esternalizzandole senza dolore, è un componente di non secondaria importanza in ogni relazione. A livello cognitivo, il “nutrimento intellettuale” implica un processo di separazioni delle informazioni ritenute utili e dunque memorizzate, da quelle ritenute inutili e dimenticate. Il malato può impegnare i tessuti del colon in una patologia quando il conflitto risentito implica, per esempio, un’ interdizione a esternalizzare. Questa condizione avviene per esempio in una relazione quando si ritiene di amare una persona, che ci arreca disagio. La risposta biologica è configurata allora come un doppio comando, ovvero espellere e trattenere. Per la medicina biologica ogni malattia esprime un senso come una risposta adattativa ad una precisa situazione conflittuale. La malattia del colon è la risposta automatica di aree antiche e sottocorticali del cervello ad un conflitto biologico per il quale la sintomatologia ha in passato rappresentato soluzione conflittuale e come tale resta memorizzata. Secondo la medicina biologica quando il paziente esprime una malattia del colon, egli ha contattato nella sua vita una precisa categoria di conflitto, lasciandolo sospeso e consentendo in tal modo la gestione automatica e inconsapevole dello stesso. Il conflitto per il quale la malattia del colon costituisce una soluzione automatica e antica è il conflitto tra esternalizzare o trattenere qualcosa introdotto in sè o nel proprio clan. I conflitti sospesi non restano biologicamente a lungo tali, perchè incompatibili con la continuità della vita stessa. In caso di conflitto sospeso, le aree più antiche del sistema nervoso centrale, quelle che controllano funzioni e tessuti esprimono la malattia come risposta automatica sottocorticale e dunque non modulata dalla coscienza.
Per la medicina biologica la gestione cosciente dei conflitti e la pacificazione emozionale sono un percorso di terapia preferibile e soprattutto migliorativo del quadro generale. La malattia del colon è infatti una lesione di cui la sofferenza non coincide mai, ma solo si esprime a livello di tessuto sulla quale si proietta. Per la medicina biologica la ricerca del senso nelle lesioni applicate non disconosce per nulla i meccanismi somatici per i quali tale malattia si realizza nel corpo del paziente. Al contrario la medicina biologica cerca oltre la “meccanica” della malattia anche la finalità sensata delle lesioni nel contesto di una evoluzione prima personale, poi della stirpe e infine della specie.L’analisi delle sofferenze patite dal malato, dei diversi fattori aggravanti, dei campi emozionali, delle modalizzazioni e dell’insorgenza primaria possono aiutare nell’identificazione del conflitto biologico sottostante per il singolo paziente. Alcune lesioni possono determinare un notevole disagio sia interiore sia nella relazione con gli altri. Una valutazione del risentito personale connesso secondo la medicina biologica, rappresenta una possibilità prima di comprensione e successivamente di coscienza riguardo al senso implicato, premessa ineludibile per una loro modulazione o a seconda dei casi per la loro risoluzione.
Dott. Fabio Elvio Farello, Medicina Biologica a Roma