Pianto e medicina biologica
Nella medicina biologica il pianto come altri comportamenti rappresenta una soluzione ad un conflitto biologico di captazione emotiva. Per pianto si intende comunemente l’atto di produrre e rilasciare lacrime in risposta automatica ad un evento patito a livello emotivo. Il comportamento del pianto in relazione ad un vissuto emotivamente significativo è tipicamente umano ed assolve anche a complessi compiti nella interiorizzazione, comunicazione e relazione. Il pianto coincide con un conflitto nella captazione di relazione emotiva con espansione di uno dei cinque campi emozionali. Il campo emozionale più frequentemente coinvolto nel pianto è quello della tristezza, ma si osserva anche il pianto in gioia, collera, paura e riflessione. Il pianto associato a emozione è però presente esclusivamente nella specie umana e caratterizza la sua particolare espansione nel vissuto emozionale. Nei rari casi nei quali specie animali piangono non è invece presente una associazione tra pianto ed emozione. Generalmente il pianto è determinato nell’animale dalla spremitura della ghiandola lacrimale in assenza di emozioni, come risposta biologica al contatto dell’occhio con sostanze traumatizzanti. La risposta biologica pianto dopo insulto fisico, chimico o infettivo assolve al compito di detergere e proteggere i tessuti traumatizzati. Questa riposta corrisponde all’ edema infiammatori di qualsiasi tessuto sottoposto a stress.
Il pianto degli animali possiede però una seconda motivazione o senso biologico applicato L’innervazione della ghiandola lacrimale da parte di neuroni secretagoghi diretti primitivamente alle ghiandole salivari determina il ” pianto del coccodrillo “. I processi di attivazione secretoria delle molte ghiandole coinvolte nel processo di digestione implica per la particolare innervazione, l’attivazione simpatica delle ghiandole lacrimali durante il processo di digestione del coccodrillo. Queste forme di pianto animale non hanno però le caratteristiche del pianto umano.
Si ritiene che il pianto coincidente con l’ espressione dei campi emozionali sia un comportamento esclusivamente umano. Secondo alcuni pregiudizi non è consentito agli uomini piangere determinando uno squilibrio della frequenza del pianto secondo il sesso. Si tratta di un pregiudizio tipico delle culture che riconoscono solo due sessualità ovvero femmina dominata e maschio alfa dominante. Secondo tali culture al maschio non sarebbe consentito il pianto. L’ arretratezza culturale di questa impostazione è responsabile però di eventi ben più gravi dello sbilanciamento nella frequenza del pianto verso il genere femminile.
Il pianto collegato ad emozione, tipico del genere umano è un complesso fenomeno secretomotorio comandato dal sistema nervoso centrale senza irritazione delle strutture oculari e senza coincidenza con i processi digestivi in atto. Le lacrime durante il pianto collegato ad emozioni hanno una composizione chimica diversa e contengono un quantitativo di prolattina , ormone ACTH e enkefalina più alto. Si tratta di ormoni significativi per la relazione, lo stress e il dolore. La interpretazione più elementare del senso biologico implicato, descrive il pianto come una risposta alle emozioni, come la comunicazione non verbale delle emozioni e come il segnale biologico di accettazione.
Il pianto umano è però secondo la medicina biologica uno scivolamento della funzione originale digestiva. La digestione assolve sul piano corporale alla esigenza di ogni mammifero di introdurre un boccone di cibo e insalivarlo per procedere alla assimilazione di nutrimento. La secrezione delle ghiandole salivari è pertanto necessaria alla captazione di nutrimento. L’essere umano con il complesso sviluppo del suo sistema nervoso ha una necessità di vissuto emozionale dal quale procede la sua crescita come fosse un vero nutrimento. La deprivazione emozionale infatti genera nell’ essere umano conseguenze importanti sullo sviluppo fisico e emotivo come se le emozioni fossero “cibo”.
La neotenia tipica dell’ essere umano rende questa specie dipendente dall’ attenzioni emozionali oltre che da quelle corporali. La perdita del pelo che ricopre il corpo e degli altri mammiferi e non quello dell’ essere umano sarebbe priva di senso biologico se la esaminiamo solo per gli aspetti fisici. La perdita il pelo comporta infatti a livello fisico solo una maggiore esposizione e pertanto sarebbe stata cancellata della selezione se non avesse invece determinato un’ altro eminente vantaggio. Una cute priva di pelo permette maggiore contatto tra gli esseri umani e dunque anche emozioni. Il successo evolutivo dell’ assenza di pelo è in relazione all’ evoluzione emozionale umana. Il pianto e l’assenza di pelo sul corpo derivano entrambi dalla necessita umana di donare e ricevere emozioni per lo sviluppo delle funzioni più complesse del sistema nervoso. Le emozioni sono in tal senso un ” nutrimento” per l’ homo sapiens. L’ atteggiamento umano nei confronti di contatto emotivo è pertanto di tipo captativo come fosse cibo. Le problematiche nella captazione di emozioni mettono in moto aree del sistema nervose che in origine erano deputate alla captazione di un nutriente fisico. Nell’ uomo si scatena il pianto pertanto ogniqualvolta nella ricerca di rapporto emozionale si manifesta una turbativa del prendere o ricevere tali emozioni. Il pianto è un tentativo arcaico di “insalivare” il nutrimento emotivo del quale l’uomo ha assoluto bisogno. L’uomo che vive un conflitto di captazione nei confronti di una anelata e-mozione esprime una soluzione biologica per il tramite della con-mozione. Il pianto come commozione è una soluzione biologica al conflitto di captazione della stessa emozione.
Per la medicina biologica la ricerca del senso di una malattia non disconosce per nulla i meccanismi somatici per i quali tale malattia si realizza nel corpo del paziente. Al contrario la medicina biologica cerca oltre la meccanica della malattia anche la finalità sensata della malattia nel contesto di una evoluzione prima personale, poi della stirpe e infine della specie. Per la medicina biologica i comportamenti non sono una malattia, ma una risposta alternativa alla malattia. I comportamenti sono in medicina biologica pertanto da leggere con lo stesso metodo che si applica alle malattie.
L’analisi delle sofferenze patite dal malato, dei diversi fattori aggravanti, delle modalizzazioni e dell’insorgenza primaria possono aiutare nell’identificazione del conflitto sottostante per il singolo paziente. Alcuni comportamenti possono determinare un notevole disagio sia interiore sia nella relazione con gli altri. Una valutazione del risentito personale connesso secondo la medicina biologica, rappresenta una possibilità prima di comprensione e successivamente di coscienza riguardo al senso implicato, premessa ineludibile per una loro modulazione o a seconda dei casi per la loro risoluzione.
Dott. Fabio Elvio Farello, Medicina Biologica a Roma